Direttiva Case green UE: cosa prevede entro il 2033
Case green, via libera dal Parlamento UE. La posizione approvata dall’organo legislativo conferma la volontà delle istituzioni europee di accelerare la riduzione del consumo energetico e delle emissioni di gas serra del settore edilizio europeo. L’ok è arrivato nonostante lo scetticismo espresso da alcuni governi europei, tra cui quello italiano, nei confronti della stretta sui requisiti di prestazione energetica per gli immobili dell’UE.
Il testo della normativa, che dovrà però essere negoziato con i governi dell’UE per concordare la forma definitiva, prevede che a partire dal 2028 tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero, e al contempo gli immobili di recente costruzione dovranno dotarsi di energia solare entro la fine dello stesso anno. Per quanto riguarda tutti gli edifici residenziali, questi dovranno raggiungere almeno la classe di prestazione energetica E entro il 2030, e D entro il 2033; mentre per gli edifici non residenziali e quelli pubblici il raggiungimento delle stesse classi è anticipato al 2027 e al 2030.
L’obiettivo della proposta di revisione della direttiva, secondo quanto dichiarato dal Parlamento UE, è una sostanziale riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e del consumo energetico nel settore entro il 2030, al fine di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Ristrutturare un più ampio numero di edifici inefficienti sotto il profilo energetico e migliorare la condivisione delle informazioni sul rendimento energetico sono altri obiettivi della proposta.
La posizione negoziale del Parlamento è stata approvata martedì con 343 voti favorevoli, 216 contrari e 78 astensioni.
“L’impennata dei prezzi dell’energia ha riportato l’attenzione sull’efficienza energetica e sulle misure di risparmio energetico. Migliorare le prestazioni degli edifici europei abbasserà le bollette e la nostra dipendenza dalle importazioni di energia.” ha dichiarato il relatore Ciarán Cuffe (Verdi/ALE, IE), “Vogliamo che la direttiva riduca la povertà energetica e le emissioni, e garantisca migliori ambienti interni per la salute delle persone. Si tratta di una strategia di crescita per l’Europa, che creerà centinaia di migliaia di posti di lavoro locali e di buona qualità nell’edilizia, nelle ristrutturazioni e nelle energie rinnovabili, migliorando il benessere di milioni di persone che vivono in Europa.”
Cosa prevede la normativa delle case green
Per i deputati del Parlamento europeo, tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2028. Per i nuovi edifici occupati, gestiti o di proprietà delle autorità pubbliche la scadenza è fissata al 2026. Tutti i nuovi edifici per cui sarà tecnicamente ed economicamente possibile dovranno inoltre dotarsi di tecnologie solari entro il 2028, mentre per gli edifici residenziali sottoposti a ristrutturazioni importanti la data limite è il 2032.
Sempre secondo la posizione del PE, gli edifici residenziali dovranno raggiungere, come minimo, la classe di prestazione energetica E entro il 2030, e D entro il 2033. Per gli edifici non residenziali e quelli pubblici il raggiungimento delle stesse classi dovrà avvenire rispettivamente entro il 2027 (E) e il 2030 (D).
Per prendere in considerazione le differenti situazioni di partenza in cui si trovano i parchi immobiliari nazionali, nella classificazione di efficienza energetica, che va dalla lettera A alla G, la classe G dovrà corrispondere al 15% degli edifici con le prestazioni energetiche peggiori in ogni Stato membro.
Gli interventi di miglioramento delle prestazioni energetiche, che comprendono per esempio lavori di isolamento o il rinnovo dell’impianto di riscaldamento, dovranno essere effettuati al momento dell’ingresso di un nuovo inquilino, oppure al momento della vendita o della ristrutturazione dell’edificio.
I Paesi UE stabiliranno le misure necessarie per raggiungere questi obiettivi nei rispettivi piani nazionali di ristrutturazione.
Le misure di sostegno contro la povertà energetica
Secondo quanto stabilito dai deputati i piani nazionali di ristrutturazione dovranno prevedere regimi di sostegno per facilitare l’accesso alle sovvenzioni e ai finanziamenti. Gli Stati membri dovranno allestire dunque punti di informazione e programmi di ristrutturazione “neutri” dal punto di vista dei costi. I regimi finanziari dovranno prevedere un premio cospicuo per le cosiddette ristrutturazioni profonde, in particolare nel caso degli edifici con le prestazioni peggiori, e sovvenzioni e sussidi mirati destinati alle famiglie vulnerabili.
Le deroghe alla normativa delle case green
La nuova normativa non si applica ai monumenti, e i Paesi UE avranno la facoltà di escludere anche edifici protetti in virtù del loro particolare valore architettonico o storico, edifici tecnici, quelli utilizzati temporaneamente, chiese e luoghi di culto. Gli Stati membri potranno inoltre estendere le esenzioni anche a edifici dell’edilizia sociale pubblica in cui le ristrutturazioni comporterebbero aumenti degli affitti non compensati da maggiori risparmi sulle bollette energetiche.
Agli Stati membri sarà consentito, per una percentuale limitata di edifici, di adeguare i nuovi obiettivi in funzione della fattibilità economica e tecnica delle ristrutturazioni e della disponibilità di manodopera qualificata.
A cosa è dovuta la stretta delle istituzioni europee
Secondo la Commissione europea, gli edifici dell’UE sono responsabili del 40% del consumo energetico e del 36% delle emissioni di gas a effetto serra. Il 15 dicembre 2021 la Commissione ha approvato una proposta legislativa di revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia, che fa parte del pacchetto “Pronti per il 55%”. Con la nuova normativa europea sul clima del luglio 2021 entrambi gli obiettivi per il 2030 e il 2050 sono diventati vincolanti a livello europeo.
La posizione del governo italiano sulle case green
Il governo italiano ha espresso forti perplessità su questa revisione della direttiva UE riguardante la prestazione energetica nell’edilizia e la Camera dei deputati ha presentato, circa una settimana fa, una mozione in cui ha dichiarato la propria opposizione alla normativa e l’impegno a battersi in sede europea per scongiurarne l’entrata in vigore.
È questione di settimane e la nuova Direttive UE sulla “Corporate Sustainability Due Diligence” entrerà in vigore, producendo effetti che si estenderanno anche al nostro settore. La Direttiva UE in materia, infatti, è da lungo oggetto della procedura legislativa unionale: già il 23 febbraio 2022 era stata presentata una proposta di Direttiva del Parlamento e del Consiglio sulla base della quale è stato raggiunto, il 14 dicembre 2023, un accordo tra i negoziatori del Consiglio e quelli del Parlamento europeo. Stando alla citata proposta, la futura Direttiva sulla “Corporate Sustainability Due Diligence” dovrebbe applicarsi alle società dell’Unione Europea che abbiano avuto, in media, più di 500 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale di oltre 150 milioni di euro nell’ultimo esercizio di bilancio, nonché a quelle che abbiano avuto, in media, più di 250 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale di oltre 40 milioni nell’ultimo esercizio di bilancio qualora almeno il 50% di tale fatturato netto sia stato prodotto , fra i vari settori individuati ad alto impatto, anche nell’estrazione di risorse minerarie, compresi i prodotti da cava, e nel commercio all’ingrosso dei materiali da costruzione. Ai sensi della proposta di Direttiva, a tali società verrà imposta una serie di obblighi di diligenza rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali negativi, siano essi effettivi o potenziali, che incombono alle società nell’ambito delle loro attività, delle attività delle loro filiazioni e delle attività nella catena di valore svolte da soggetti con cui le stesse intrattengono un rapporto d’affari consolidato. In particolare, la proposta di Direttiva prevede che le società obbligate integrino il dovere di diligenza nelle loro politiche aziendali e predispongano una politica del dovere di diligenza, adottino misure adeguate per individuare gli impatti negativi sui diritti umani e gli impatti ambientali negativi, effettivi o potenziali, causati dalle attività proprie, nonché da quelle compiute nell’ambito della propria filiera. Inoltre, in forza della Direttiva, le società dovranno dotarsi di una strategia aziendale e un modello di business compatibili con la transizione a un’economia sostenibile e la limitazione del riscalamento globale secondo l’accordo di Parigi. A livello comunitario, le spinte verso modelli imprenditoriali sostenibili sono particolarmente pregnanti, vero è che la stessa Direttiva introduce un severo impianto sanzionatorio (sanzioni pecuniarie fino al 5% del fatturato netto globale delle società inadempienti); inoltre, nella proposta di Direttiva, si sottolinea la necessità di introdurre disposizioni adeguate negli Stati membri affinché possa determinarsi una responsabilità civile in capo alle società obbligate per i danni causati da impatti negativi sui diritti umani e/o sull’ambiente che, a fronte di un mancato rispetto degli obblighi di diligenza, non sono stati prevenuti, impediti o attenuati. Va sottolineato che, nell’accordo del 14 dicembre 2023 sembra che Parlamento europeo e Consiglio vogliano anche includere il rispetto degli obblighi di diligenza tra i criteri di valutazione per l’assegnazione di appalti pubblici.
Pertanto, se non direttamente (in considerazione dei limiti dimensionali delle società coinvolte nonché delle attività che rivestono profili cd. ad alto rischio), senz’altro indirettamente, la direttiva CSDD produrrà effetti anche sul settore edile, nei confronti delle aziende che operano nella filiera interessata dall’applicazione degli obblighi di due diligence. In questo scenario, «giocare d’anticipo» può fare la differenza: per conseguire un vantaggio competitivo rispetto ai partner della propria filiera, valorizzando sin da subito i benefici reputazionali che derivano da un’attività d’impresa fortemente improntata alla sostenibilità.
Uno strumento particolarmente efficace, in questo senso, è rappresentato dal progetto Cantiere Impatto Sostenibile. Risulta evidente come sia già in atto un cambio di passo verso modelli organizzativi d’impresa sostenibili, per rispondere alla transizione tecnologica, economica, ambientale e sociale a livello nazionale ed internazionale. È chiaro che, il nostro settore è interessato in prima persona a far parte di questo cambiamento, rispondendo a queste nuove istanze con le proprie competenze e la propria professionalità e sapendo cogliere in questo processo di cambiamento, ormai avviato, una nuova opportunità di lavoro e di crescita nel mercato. La qualificazione delle imprese è imprescindibile per rispondere all’evoluzione del mercato, specialmente nel settore pubblico: servono nuove competenze gestionali e tecnologiche e specializzazioni in grado di favorire l’integrazione dei processi e la comprensione di temi innovativi come quelli legati alla sostenibilità. È proprio per queste ragioni che, come Associazione, abbiamo adottato un Codice di Condotta volontario: Cantiere Impatto Sostenibile, per valorizzare il processo di evoluzione delle nostre imprese in tema di sostenibilità. Il manifesto rappresenta l'adesione concreta ai valori di sostenibilità dei soggetti apicali dell'impresa, che fanno scelte organizzativo-gestionali volte a ridurre gli impatti ESG dell'attività aziendale e ad implementare una strategia orientata alla sostenibilità, secondo una logica di filiera. La nostra intenzione, dunque, è di accompagnare le imprese, attraverso gli obiettivi declinati dal Codice Cantiere Impatto Sostenibile verso una qualificazione delle imprese stesse, che non sarà certamente una nuova certificazione ma una vera chiamata diretta alla responsabilità delle azioni per la sostenibilità, che potrà essere valorizzata e promossa anche con i grandi player del settore privato e pubblico.
Sara Acerbi – Assimpredil Ance
Nell'imminente arrivo di un codice dei contratti, mal impostato ed incompleto, se non fosse altro per la difficoltà di recepire le oltre 100 indicazioni parlamentari ricevute solo qualche settimana fa, a valle dell'unica vera occasione di ascolto offerta dal Parlamento agli operatori economici, il settore della progettazione si trova impegnato, fra gli altri, con gli interventi previsti dalla «missione »6 che ha l'obiettivo di rafforzare l'assistenza sanitaria territoriale e migliorare la sicurezza sismica degli ospedali. Qualche breve riflessione può quindi essere fatta sulla scorta del concreto operare nei settori che vedono più impegnate le nostre società, così da offrire agli operatori del settore, pubblici e privati, elementi reali e non puramente teorici sulla base dei quali effettuare o aggiustare le scelte normative fatte fin ad oggi.
Ad esempio stiamo redigendo i progetti di fattibilità tecnico economica (Pfte) per le case di comunità, gli ospedali di comunità e le centrali operative territoriali (M6C1) e le progettazioni definitive per gli ospedali sicuri e sostenibili (M6C2); progetti che dovranno essere consegnati nelle prossime settimane! Nel caso degli interventi per il rafforzamento dell'assistenza territoriale rileviamo stime di costo per costruzioni ex novo di 1.350 €/mq, largamente incompatibile con i valori di mercato attuale. Nel caso degli interventi per ospedali sicuri e sostenibili rileviamo da un lato la difficoltà ad utilizzare risorse disponibili per migliorare anche la prestazione in termini di sostenibilità e dall'altro impossibilità a definire/concordare le modalità di intervento ottimali in grado di permettere davvero l'esecuzione degli interventi minimizzando l'impatto sull'attività assistenziale di cura.
In sintesi: programmazione insufficiente anche sotto il profilo della stima dei costi, sostanziale indifferenza verso alcuni milestone del Piano (sostenibilità ambientale ed energetica), estrema rigidità delle scelte fatte. Tutte criticità, più volte avanzate, che non sembrano trovare risposta.Complessivamente sembra quasi che gli organismi dai quali occorre passare per dare inizio ad una opera (in ordine, governo, ministeri, stazioni appaltanti, enti autorizzativi, e non solo), abbiano come l'obiettivo prioritario il passare la palla a quello sottostante della catena, senza domandarsi se poi l'opera potrà davvero essere realizzata, così da per non restare con il cerino in mano.
Eppure, il governo sa bene che i parametri di costo base non sono adeguati, tanto che sta trattando con la Ue, con giusta determinazione, la loro revisione: forse sarebbe meglio mettere in cantiere qualche opera in meno, se i denari non possono essere aumentati, che bloccarle tutte per l'esaurimento delle risorse. Peraltro, non di rado, nell'attuazione di diversi interventi, si è chiesto ai progettisti di produrre Pfte da porre a base di gara di appalti integrati, nella loro versione "arricchita" di cui alle linee guida Mims/Consiglio Superiore con una conoscenza di base dell'intervento incompleta (senza accurate indagini e rilievi, rinviate in alcuni casi alla successiva fase esecutiva del progetto) e senza concedere il tempo necessario alla redazione dei progetti.
La fretta, come si sa, non aiuta a fare le cose bene e in questo periodo nessuno si sta ponendo in una posizione di ascolto del mercato, impegnato a raccogliere la sfida lanciata per il tramite delle stazioni appaltanti dal PNRR.: si operano scelte automatiche, poco meditate in relazione alla natura degli interventi ed allo stato delle conoscenze acquisite prima della gara. Ma poi, dove sarebbe il vantaggio per l'efficacia della spesa pubblica di questa corsa all'appalto integrato, come se l'impresa aggiudicataria, che pur dovrà redigerli e farseli approvare prima di iniziare i lavori, non abbia anch'essa necessità di spendere del tempo per questa mansione? Non sarebbe meglio lasciare ai progettisti il tempo per redigere i progetti e, subito dopo, avendo già individuato le imprese, far partire l'esecuzione?
Questa scelta, che da sempre riteniamo la strada maestra, è assolutamente necessaria nel particolare contesto in cui si stiamo muovendo in quanto:
a) permette di approfondire il grado di conoscenza;
b) riduce i tempi della progettazione esecutiva in quanto è redatta dallo stesso soggetto che ha redatto la fase precedente;
c) permette di dedicare la necessaria attenzione alla modalità di esecuzione degli interventi gestendo la complessità di operare su strutture in funzione come gli ospedali;
d) permetterebbe di instaurare anche un dialogo proficuo con l'appaltatore che si troverà ad operare gli interventi.Il dubbio che qualcuno abbia ben riflettuto sugli effetti di queste scelte è più che fondato. Il suggerimento non richiesto vuole solo costituire un elemento di riflessioni per tutti i Rup e le stazioni appaltanti con le quali ci troviamo ogni giorno a vivere questa importante sfida del nostro Paese.
Via libera definitivo del Consiglio europeo alla direttiva relativa alla comunicazione societaria sulla sostenibilità (Csrd). Dopo l’ok del Parlamento a metà novembre, l’approvazione del terzo componente del trilogo, avvenuta il 28 novembre, sdogana definitivamente la direttiva.
«In seguito all’approvazione della posizione del Parlamento europeo da parte del Consiglio – si legge in una nota del consiglio -, l’atto legislativo è adottato.
Dopo la firma da parte della presidente del Parlamento europeo e del presidente del Consiglio, l’atto sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea ed entrerà in vigore 20 giorni dopo. Le nuove norme dovranno essere attuate dagli Stati membri 18 mesi dopo l’entrata in vigore.
«La direttiva relativa alla comunicazione societaria sulla sostenibilità – prosegue la nota – rafforza le norme in vigore in materia di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario introdotte nella direttiva contabile dalla direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario del 2014, che non sono più adeguate alla transizione dell’Ue verso un’economia sostenibile».
La direttiva, si legge, introduce obblighi di comunicazione più dettagliati.
Le nuove norme in materia di comunicazione sulla sostenibilità si applicheranno a tutte le grandi imprese e a tutte le società quotate in mercati regolamentati, a eccezione delle microimprese quotate. Queste imprese sono anche responsabili della valutazione delle informazioni applicabile alle imprese figlie.
Le norme si applicano anche alle Pmi quotate, tenendo conto delle loro specificità. Per le Pmi quotate sarà possibile una deroga (“opt-out”) durante un periodo transitorio, che le esenterà dall’applicazione della direttiva fino al 2028.
Per quanto riguarda le imprese non europee, l’obbligo di presentare una relazione sulla sostenibilità si applica a tutte le imprese che realizzano ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiori a 150 milioni di euro nella Ue e che hanno almeno un’impresa figlia o una succursale nella Ue che supera determinate soglie. Queste imprese devono fornire un’informativa sui loro impatti in materia ambientale, sociale e di governance (“Esg”) come indicato nella direttiva.
Il gruppo consultivo europeo sull’informativa finanziaria (Efrag) sarà incaricato di elaborare progetti di norme europee. La Commissione europea adotterà la versione finale delle norme sotto forma di atto delegato, a seguito di consultazioni con gli Stati membri dell’Ue e con una serie di organismi europei.
Il regolamento si applicherà in quattro fasi:
nel 2025, comunicazione sull’esercizio finanziario 2024 per le imprese già soggette alla direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario
nel 2026, comunicazione sull’esercizio finanziario 2025 per le grandi imprese attualmente non soggette alla direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario
nel 2027, comunicazione sull’esercizio finanziario 2026 per le Pmi quotate (a eccezione delle microimprese), gli enti creditizi piccoli e non complessi e le imprese di assicurazione captive
nel 2029, comunicazione sull’esercizio finanziario 2028 per le imprese di paesi terzi che realizzano ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiori a 150 milioni di euro nell’Ue, se hanno almeno un’impresa figlia o una succursale nell’Ue che supera determinate soglie.
Lo scorso 25 marzo è stato presentato a Milano il Rapporto “Il valore dell’abitare. La sfida della riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano”, promosso da Assimpredil Ance, Fondazione Symbola, CRESME e European Climate Foundation. Di cosa si tratta? Qual è il focus del report?
La Direttiva UE sulle “Case Green”, recentemente approvata dal Parlamento Europeo, chiede agli Stati membri una riduzione del consumo medio di energia del patrimonio edilizio del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Una norma coerente con la scelta dell’Europa di puntare sulla sostenibilità e sulla riduzione della dipendenza energetica per affrontare le sfide del futuro, che impone però agli Stati una decisa accelerazione. La decarbonizzazione del patrimonio edilizio sarà una delle grandi sfide dei prossimi anni. Un percorso complesso che richiede soluzioni e strumenti innovativi, concretezza e fattibilità, conoscenza e competenza. La direttiva europea impone quindi una sfida importante, che deve rappresentare per il Paese non una spada di Damocle, ma un’occasione per creare lavoro, sviluppare nuove competenze e dare nuovo impulso alla filiera dell’edilizia. Tutto in un’ottica green, sostenibile, amica dell’ambiente ma anche dell’economia. Perché, come scritto nel Manifesto di Assisi, affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia più a misura d’uomo e per questo più forte e più capace di futuro.
Il nostro lavoro parte da qui, dalla necessità di aprire una riflessione sulle possibili linee di intervento per l’attuazione in Italia della nuova direttiva e sulle opportunità di medio-lungo periodo in un settore strategico per tutto il sistema Paese. Si tratta quindi di uno studio per misurare dimensione e consistenza degli investimenti di riqualificazione energetica del nostro patrimonio edilizio, con un’analisi dettagliata delle politiche e strategie messe in atto in altri Paesi UE e alcune proposte su cui è necessario aprire un confronto con tutti gli attori in campo. Dare risposte in questo senso vuol dire agire su tre fronti: migliorare allo stesso tempo efficienza energetica, valore del patrimonio edilizio italiano, competitività della nostra filiera delle costruzioni (quindi lavoro, occupazione, valore aggiunto). E ne aggiungerei un quarto: bollette meno care per famiglie e imprese. Nel dettaglio, far salire di due classi energetiche il patrimonio edilizio residenziale consentirebbe un taglio del 40% sulla bolletta, pari a un risparmio medio annuo di 1.067 euro, stando ai costi del 2022. E allo stesso tempo un deciso incremento del valore delle abitazioni: una casa ristrutturata, come evidenzia la ricerca, vale infatti mediamente il 44% in più di una casa da ristrutturare, incremento che arriva al 50% fuori dalle aree metropolitane in luoghi non turistici.
Perché è così importante parlare di edilizia nel nostro Paese?
La centralità del tema casa e delle politiche abitative nel nostro Paese viene dal fatto che siamo primi in Europa per numero di abitazioni pro-capite: 12.539.173 edifici residenziali e 32.302.242 abitazioni, di cui il 78% circa occupato da famiglie residenti. Stando ai dati ISTAT, in Italia risultano 599 abitazioni ogni 1000 abitanti contro una media europea di 506. Un primato ma anche un’urgenza, alla luce della graduale perdita di valore dello stock edilizio (specialmente nelle aree periferiche) dovuta al fatto che il 72% degli edifici ha più di 40 anni ed è stato costruito prima della legge n. 373/76 sull’efficienza energetica e che il 68% delle abitazioni hanno una classe energetica compresa tra E e G.
La centralità del tema viene anche dall’importanza fondamentale che il settore dell’edilizia ricopre nel sistema economico italiano. Per esempio, l’aumento significativo degli investimenti, attivati dagli incentivi fiscali del triennio 2020-2022, ha di fatto determinato una forte crescita occupazionale nell’edilizia. Solo contando i lavori di riqualificazione energetica, abbiamo più di 1 milione di nuovi occupati e nuove figure professionali nella filiera. E quella delle costruzioni è una filiera “lunga”, un settore enorme e molto articolato che coinvolge numerosi soggetti. Basti pensare ai vari servizi progettuali, come gli studi di architettura o di ingegneria; ai produttori dei materiali; alla commercializzazione; al vasto insieme degli intermediari, come mediazione immobiliare, amministratori di condomini, studi notarili; alle macchine e attrezzature per lavori di manutenzione; ai servizi integrati di gestione e cura degli edifici. Una filiera che conta nel complesso più di 1 milione di imprese e oltre 2,6 milioni di addetti, che corrispondono al 24% e 15% del sistema produttivo italiano.
Parliamo degli strumenti in campo. Come giudica il Superbonus e gli incentivi fiscali per la riqualificazione edilizia?
Il Superbonus 110% si è rivelato uno strumento giusto, ma fatto male. Una misura che ha portato benefici, ma anche alcuni problemi, quindi va migliorato. Per farlo è necessario però rivedere tutto il sistema degli incentivi, per capire fino in fondo quello che è accaduto e i gravi errori commessi.
Il Rapporto si è concentrato anche su questo aspetto, presentando una disamina dettagliata degli incentivi per la riqualificazione energetica ed edilizia, in modo da coglierne limiti ed effetti positivi. Una storia lunga, che inizia nel 1998 con un incentivo del 41%. Poi varie modifiche. Nel 2013 gli incentivi per il recupero edilizio passano dal 36% al 50% e gli interventi per riqualificazione energetica salgono al 65%, più avanti anche al 75-85% per gli interventi di riduzione del rischio sismico. L’arrivo del Superbonus 110% e del 90% per la riqualificazione delle facciate nel 2020 disegna un nuovo livello di investimenti incentivati: nel 2021 i lavori salgono da 28 a 67 miliardi di euro, nel 2022 a 94, nel 2023 a 83, con un evidente, eccezionale, salto di scala rispetto al passato. Chi voleva intervenire poteva contare su un ampio quadro di dispositivi incentivanti (Bonus Casa, Ecobonus, Sismabonus, Bonus Facciate, Super Sismabonus e Super Ecobonus), sullo sconto in fattura e sulla cessione del credito. Una quantità di risorse eccezionali, con il difetto di un tempo di attuazione molto stretto che ha inciso nel rapporto tra domanda e offerta. “Troppo per troppo poco tempo” potrebbe essere la critica al 110% e al 90%, il cui effetto positivo è stato in parte vanificato dall’aumento dei prezzi derivato dalla crisi della filiera mondiale, dallo squilibrio interno fra domanda (pressante) e offerta (limitata) e dalla componente speculativa che ha di fatto raddoppiato i costi. Valutando l’impatto del Superbonus sui conti dello Stato, i risultati della nostra analisi determinano un saldo netto negativo complessivo di 59 miliardi di euro. Un valore importante, ma molto inferiore a quello dei 103 miliardi portati in detrazione.
Di certo si può dire che gli incentivi hanno fatto crescere gli interventi per l’efficientamento energetico. Rispetto al triennio 2018-2020, nel triennio 2021-2023 gli interventi in riqualificazione energetica sono cresciuti del 77%, passando da 2,9 a 5,2 milioni, gli investimenti sono passati da 43 miliardi a 152 (+277%), mentre il risparmio energetico è cresciuto del 349%. La maxi detrazione ha inoltre spinto il fotovoltaico, settore in cui l’Italia sconta un ritardo rispetto ai Paesi europei più avanzati. Per esempio l’Olanda ha installato 4 volte il fotovoltaico italiano, nonostante sia più piccola di Sicilia e Calabria e nonostante abbia molto meno sole di Sicilia e Calabria. 1,6 GW di installazioni nel 2022, che diventano 2,2 GW nell’intera vigenza del Superbonus. Ancora poco ma è un passo in avanti. Infine uno sguardo al PIL: nel 2022 gli incentivi per la riqualificazione energetica hanno contribuito per il 25,8% alla crescita del Prodotto Interno Lordo italiano. Numeri sicuramente non trascurabili.
Si stima infatti che ogni miliardo di euro di investimenti in costruzioni produce un valore aggiunto di un miliardo e 100 milioni e un effetto diretto e indiretto sull’occupazione di oltre 15mila nuovi occupati. In questo senso, gli obiettivi della direttiva UE costituiscono uno stimolo importante per lo sviluppo della filiera delle costruzioni, la diffusione di soluzioni impiantistiche come le pompe di calore elettriche anche in abbinamento con geotermico e fotovoltaico. L’elettrificazione dei consumi favorirà il processo di crescita delle comunità energetiche e la creazione di figure professionali necessarie all’industria edilizia e dell’efficienza energetica. Contestualmente, tale strategia potrà porre un freno alla perdita di valore del patrimonio edilizio, che in Italia corre più di altri Paesi erodendo ricchezza alle famiglie e renderà più sicure ed eque le nostre città. Certo, per portare le 21,4 milioni di abitazioni residenziali occupate almeno ad un salto di due classi energetiche servirebbero, considerando un incentivo che potrebbe attestarsi attorno al 70% dell’intervento, almeno 910 miliardi, di cui 338 rientrerebbero allo Stato.
Il punto è far capire che non si tratta di un costo per il sistema, una spesa fine a se stessa, ma di un investimento sul futuro.